È certo difficile trovare motivi di entusiasmo e ottimismo in uno scenario politico che si fa sempre più deprimente e sconfortante. Rispetto a possibili futuri scenari, sui giornali si legge tutto e il contrario di tutto. E quel poco di fonti interne a cui è possibile attingere non consente al momento di fare previsioni sugli esiti del gioco di incastri che si sta svolgendo dietro le quinte. Dati i tempi ristretti e i numerosi ostacoli previsti, mi pare complicato (ma sbaglierò) pensare ad una proposta che nasca fuori e contro il quadro politico attuale. Ha forse più senso usare quel che resta delle strutture esistenti per rimpiazzarle pezzo a pezzo nell’ottica di un eventuale (e tutto da costruire) terzo polo a guida Di Battista/Conte 1 (con i fuoriusciti di Alternativa dentro) basato su una seria e onesta autocritica degli errori commessi, ma anche sulla rivendicazione di alcune battaglie giuste: in particolare quella a favore del reddito di cittadinanza e quella contro l’invio di armi per una soluzione diplomatica del conflitto in Ucraina. Quando parlo di terzo polo chi scrive allude ad una prospettiva di rottura con l’idea di “campo largo” promossa dal PD col suo richiamo continuo all’agenda Draghi, ovvero contro la logica (eversiva) del “pilota automatico” e della subalternità acritica al vincolo esterno euro-atlantista.
Questa analisi sconfortata pecca sicuramente di un eccesso di realismo pessimista, ma non si intravvedono altre soluzioni concretamente praticabili in grado di riuscire un minimo dal punto di vista elettorale.
Per il resto ha tristemente ragione Thomas Fazi che così descrive quello che può essere definito “il ciclo politico del vincolo esterno: 1) i partiti vengono eletti; 2) si rendono conto che non hanno altra scelta che seguire i diktat della UE, pena lo strozzamento finanziario; 3) chiamano un tecnico per fare il lavoro sporco; 4) in vista delle elezioni, il tecnico viene defenestrato per permettere ai partiti di rilegittimarsi agli occhi degli elettori; 5) le elezioni danno il via a un nuovo ciclo”.
È vero che il passaggio elettorale in questa fase di post democrazia va ridimensionato nelle sue attese e nel suo significato politico, anche alla luce dei fallimenti e dei tradimenti dei Di Maio di turno, ma il pensiero che non sarà possibile dare uno sbocco politico alle crisi dei prossimi mesi non può che lasciare una profonda amarezza.
Ci aspettano allora cinque anni di morta gora dal punto di vista politico/istituzionale mentre il paese brucia?